I PRIMI 20 ANNI DI MINARDI MANAGEMENT
Nel 2003 il mondo del motorsport ha visto brillare la luce di Minardi Management, agenzia fondata da Giovanni Minardi, figura che ha inciso il proprio nome tra alcuni degli impegni e dei risultati più importanti del panorama motoristico. Una volta terminata la sua esperienza all’interno del paddock della Formula 1, Giovanni ha dato vita a Minardi Management, mettendo a disposizione tutte le conoscenze apprese durante il periodo passato nel più importante Campionato nel mondo del Motorsport. Arrivata a più di 20 anni di attività, l’agenzia ha promosso, gestito e lanciato talenti a livello nazionale e mondiale attraverso la propria consulenza, coltivando e alimentando i sogni di ragazzi e ragazze che mirano ad arrivare in cima alla montagna. La vasta esperienza che ha nutrito il Management ha fatto sì che il raggio d’azione dell’Agenzia fosse espanso fino a 360°, partendo dai kart, passando dalle Formula sino al vasto portfolio che le gare a ruote coperte possono offrire tra i vari campionati GT e Touring Car.
D – Ciao Giovanni, innanzitutto: come stai?
R – Bene, pieno di lavoro ma bene.
D – La Minardi Management ha tagliato il traguardo dei 20 anni, come giudichi questo percorso?
R – Sono tanti anni. Quando ho iniziato non avevo idea se fossi stato in grado di fare questo lavoro, ma visto quanti anni sono passati credo che qualche cosa di buono sia stato fatto, perché tutto è partito come una scommessa con me stesso, lasciando un lavoro in F1, affrontando questa nuova avventura. Dopo gli otto anni trascorsi in Formula 1, ho deciso di intraprendere questo percorso, perché in quegli anni lavorando a stretto contatto con molti piloti, ho appreso tante informazioni utili e tanti piccoli segreti che mi hanno permesso di capire cosa serve ad un pilota e come deve essere per diventare un Campione, alimentando in me la voglia di trasmetterle ai più giovani. Come giudicare questo percorso? È stato tortuoso e complesso perché, da quando ho iniziato nel 2003, sono passate tante situazioni diverse come problemi finanziari a livello mondiale o la pandemia, scenari che hanno caratterizzato alti e bassi nel mondo del Motorsport. È stato un percorso interessante e di crescita, scoprendo tanti piloti e spero di non fermarmi qui e di essere solo all’inizio di quest’ultima nonostante i venti anni trascorsi. Sono in pista tutti i giorni con i miei piloti e e per scovarne dei nuovi, perché di talenti ce ne sono tanti, bisogna solo trovarli e dargli la possibilità di emergere.
D – Cosa significa per te la Minardi Management e cosa ha dato alla tua persona?
R – Per me è la mia vita, perché io, oggi anche la mia compagna (Dorothea, ndr) lavoriamo 24 su 24 e 7 giorni su 7 insieme e mi supporta in questo mestiere. Minardi Management non è solo un lavoro, ma è la mia passione, non mi pesa e riesco a divertirmi mentre lavoro. È una cosa indispensabile per me, non mi vedrei impegnato in altro e ringrazio Dorothea che mi supporta e soprattutto mi sopporta.
D – Qual è stato l’obiettivo con cui è nata la Minardi Management?
R – L’obiettivo per cui è nata la Minardi Management, il trasferire ai più giovani tutte le esperienze che ho raccolto negli anni di Formula 1, lavorando con piloti di alto livello come Fernando Alonso, Mark Webber, Giancarlo Fisichella, Jarno Trulli etc. che mi hanno insegnato tanto. Da fine 2002 ho deciso di abbandonare quell’ambiente per intraprendere questa nuova carriera.
D – Qual è stato il momento più bello che tu hai vissuto come manager?
R – Sono tanti i momenti belli, in venti anni ci sono state tante episodi che mi hanno fatto gioire e anche qualche che non lo ha fatto, ma che mi hanno fatto crescere. Ho gioito per i molti campionati vinti dai miei piloti, per aver scoperto un talento che sta per approdare in Formula 1 e nel vedere anche i più piccoli, della nostra Agenzia lottare in gara come dei leoni e vincere. Le emozioni sono tante, dirne una in particolare non sarebbe giusto. Spero che l’emozione più grande sia ancora tutta da scoprire e mi auguro sia la vittoria del Campionato del Mondo di Formula 1 di uno dei nostri piloti: penso che questo rappresenti il nostro desiderio/missione più grande.
D – Come vedi la Minardi Management tra cinque anni?
R – Spero in continua crescita riuscendo a portare tutti i miei piloti al massimo livello in cui possono arrivare e con almeno un pilota che mi possa portare al coronamento del sogno, di entrambi, cioè di vincere il Campionato del Mondo di Formula 1. Non so se cinque anni bastino, però cercheremo almeno di essere sulla strada giusta. Vorrei riuscire a riportare l’unico vero valore dello sport portando il talento al successo, ma soprattutto vorrei riuscire a dimostrare che lo sport è uguaglianza, non centra la Nazionalità o la religione, ma tutti siamo uguali, impariamo l’uno dall’altro e siamo semplicemente innamorati di questo sport.
D – Sotto la tua gestione hai molti ragazzi e ragazze, che rapporto hai con loro?
R – Ho un rapporto a 360°: sono duro con loro quando serve, ma sono il loro fratello più grande quando c’è bisogno di esserlo, anche se potrebbero essere tutti miei figli vista la loro età (ride, ndr). Sono sempre a loro disposizione per qualsiasi necessità, gli do tutti i consigli di cui hanno bisogno, le informazioni che gli servono per crescere e migliorarsi, cercando di compiere meno errori possibili durante il tortuoso percorso per arrivare al professionismo. Sono il punto di riferimento all’interno di questo sport e la loro guida durante il percorso che deve affrontare un pilota.
D – Quanto è difficile emergere in un ambiente come il motorsport?
R – Oggi è difficilissimo sia in ambito manageriale sia, soprattutto, lato pilota. Per i manager è sempre più difficile trovare gli sponsor e i soldi per poter fare questo costosissimo sport; i piloti cercano chi possa supportarli in questo. Io non lavoro nella diretta ricerca di sponsor, però posso aiutarli a trovare la miglior proposta economica, facendo risparmiare il più possibile alle famiglie, utilizzando tutte le conoscenze che ho maturato in questi 20 anni tra le squadre di tutte le categorie. Oggi non si riesce sempre ad ingaggiare il pilota che vorresti perché magari non possiede la disponibilità economica per affrontare questo sport nelle migliori condizioni sportive, per cui si deve andare alla ricerca della situazione che possa garantire un adeguato supporto monetario come possono essere le Academy o Case costruttrici. Fare il pilota è molto complesso: se prendiamo d’esempio la Formula 1, ci sono solo venti sedili e, purtroppo, non vogliono allargare la griglia, quindi l’imbuto diventa sempre più stretto. Fortunatamente ci sono altre valvole di sfogo per diventare professionisti, ma i posti sono sempre pochi in proporzione al numero degli atleti. La loro difficoltà è enorme: ci vuole tanta forza mentale oltre al talento, perché gli ostacoli sono tanti e bisogna essere al top ogni giorno per vincere. A differenza del calcio dove diventare professionisti è più semplice per la grande quantità di club esistenti, nel motorsport la percentuale rispetto a quella disciplina è molto ridotta: quindi non è semplice per i ragazzi che ambiscono a diventare professionisti, devono dare il 100% ogni giorno.
D – Com’è nata la tua passione per il motorsport?
R – La mia passione è nata perché sono nato dentro al motorsport. Amavo il calcio e tutt’ora amo questo sport, ho giocato per tantissimi anni, ma nascendo e vivendo ogni giorno all’interno di questo mondo, non potevo che appassionarmi, sarebbe stato impossibile starne fuori visto come ho vissuto la mia infanzia tra autodromi e le varie persone con cui ho instaurato ottime relazioni nel tempo. Il vero amore è nato nel momento in cui ho conosciuto Ayrton Senna: parlando con lui ho capito veramente cos’era questo sport e quali erano i suoi valori. Una volta che ho conosciuto Ayrton, non mi sono più fermato: ogni estate andavo a lavorare per capire e conoscere tutte le dinamiche all’interno del team, prima di entrare definitivamente in questo mondo nel 1996.
D – Nel corso della tua vita hai mai pensato di diventare pilota o avevi già coltivato l’ambizione di una carriera manageriale?
R – Sono arrivato nel motorsport in età avanzata. A 14-15 anni ho avuto la voglia di provare: ho cercato di chiedere, ma non sono stato ascoltato. Siccome mi era stato detto di no, ho posto una scommessa: se fossi riuscito a stare davanti al pilota scelto da mio padre (Gian Carlo Minardi, ndr), avrebbe dovuto darmi la possibilità di provare a correre, anche perché se fossi andato piano sarei stato io, il primo a lasciare. Per me qualsiasi cosa deve essere fatte bene perché sono molto competitivo e mi piace vincere. La sfida è stata contro Pierluigi Martini sui kart al kartodromo di Pinarella. L’unica mia richiesta è stata quella di bilanciare il nostro peso dato che Pierluigi era più basso e più leggero di me, così da non avere almeno differenze di peso. Con grandissima fatica ho vinto, ma sono stato un po’… cattivo. Pensavo di poter correre vista la vittoria, ma sono stato bloccato perché troppo ‘matto’. Compiuti i 18 anni ho provato, in gran segreto, con le Renault Clio: mi ero trovato sponsor e squadra. Quando mi ero presentato a fare la licenza, mi chiesero il nullaosta di mio padre nonostante la maggiore età e quindi lasciai perdere la carriera da pilota. A quel punto decisi di passare dall’altra parte della scrivania e ho fatto quello che ho fatto in questi più di 20 anni, tra gavetta prima e lavoro dopo.
D – Come sei diventato manager nel motorsport?
R – Quando lavoravo in Formula 1, sono partito a fare il Team Manager nel test team Minardi per poi passare a ricoprire lo stesso ruolo nella struttura impegnata nelle gare. Nella nostra squadra, essere Team Manager significava avere la responsabilità della logistica, dell’area hospitality e da trade union tra team e pilota. Di conseguenza, ho passato tanto tempo coi piloti in entrambe le sfere, sia quella privata che quella lavorativa. Poi, con il cambiamento di proprietà della Scuderia Minardi Team, ho dovuto fare una scelta: continuare, pur essendo insoddisfatto del rapporto con l’allora proprietario, oppure creare la mia strada. Inizialmente avevo pensato anche di provare ad entrare in altri Team di F1, ma alla fine non me la sono sentita, perché sarebbe stato difficile se non impossibile visto il mio cognome, per cui ho scelto di mettermi in proprio e di partire in questa avventura.
D – Hai avuto un trascorso anche in Formula 1, com’è stato lavorare in quell’ambiente?
R – Lavorare in Formula 1 è stato bellissimo. Ovviamente mi manca, anche se non ritrovo più l’ambiente che frequentavo quando vado a vederla oggi, quindi sento la mancanza di quell’ambiente là e non della Formula 1 odierna. È stato bellissimo, perché ho vissuto esperienze davvero importanti: ho viaggiato molto, anche se il più delle volte vedevo principalmente aeroporti e piste (ride, ndr). Per me è stato molto formativo, perché questo mondo è composto di sport, ma anche di business. Mi ha dato la possibilità di fare tante conoscenze che oggi sono utili ed importanti per il lavoro che faccio. È stata un’esperienza positiva e la rifarei al 100%, ma l’unica cosa che forse cambierei è quella di provare a scalare le gerarchie all’interno di un team, passando da fare il Team Manager, come facevo, a Direttore Sportivo, fino perché no a diventare Team Principal.
D – Qual è stato, se lo hai ancora e se lo hai mai avuto, il tuo idolo sportivo nel motorsport?
R – Sì, l’ho avuto e purtroppo non c’è più: Ayrton Senna. Purtroppo quel famoso 1° maggio 1994 ero presente alla sua scomparsa ad Imola, avevo 20 anni quando è morto e la metà li ho trascorsi conoscendolo. Senna mi ha dato tanto, mi ha fatto innamorare di questo sport, è il pilota che mi ha regalato le emozioni più grandi quando guardavo le gare ed è quello che mi ha dato lo spunto per fare il mestiere che faccio oggi, il manager, nonostante quando ho iniziato lui non ci fosse già più da diverso tempo. Quello che cerco nei piloti è ciò che vedevo nell’Ayrton pilota e persona: in questo sport è importante restare se stessi e lui lo era sempre, è fondamentale se vuoi diventare un Campione del Mondo o un atleta inimitabile come penso sia stato lui. Lui era una persona che anche nella vita privata dava tanto, era sempre umile con dei grandi valori e questo è ciò che cerco di insegnare ai miei ragazzi tutti i giorni: dedizione, passione, umiltà ed un pizzico di follia, che ci vuole sempre.
D – Hai qualche consiglio da dare ai tanti giovani che seguono Minardi Management sui canali social e che vogliono intraprendere una carriera in questo ambiente?
R – Abbiamo un grande seguito, grazie all’ottimo lavoro che la mia compagna Dorothea sta facendo, un lavoro fantastico e ci tengo a ringraziarla prima di tutto. Consiglio di avere tanta dedizione in questo sport, perché sei pilota 24 ore su 24, quindi non puoi mai sforare dall’abitudinario giornaliero come l’allenamento, l’alimentazione ed avere un sonno regolare. È molto importante restare se stessi tenendo sempre i piedi ben saldi a terra: un pilota che vince tutte le gare deve sempre ricordare a se stesso da dov’è partito e che, soprattutto, dietro l’angolo c’è sempre una possibile sconfitta e ci si deve rialzare subito pensando alla gara successiva. Non importa se si sbaglia o si perde, ma l’importante è essere veloci a capire, analizzare e reagire per ripartire più forti di prima. Questi sono i suggerimenti che mi sento di dare ai ragazzi che vogliono intraprendere questa carriera.
Intervista a cura di Matteo Gaudieri