LE ACADEMY: CHIMERA E REALTÀ

Prende il via questo mese una collaborazione tra Vroom ed uno dei più  esperti conoscitori della filiera del motorsport a 4 ruote. Manager di  comprovata fama e con una storia di corse unica nel suo genere, Giovanni  Minardi ci porta alla scoperta del complesso sistema di formazione dei piloti, dagli inizi sui kart alle scelte di categoria, dalla preparazione atletica alla  gestione del budget sul lungo termine, dalle relazioni necessarie a quelle  improbabili. Perché diventare piloti non è un gioco da ragazzi… 

Storie come quella di Hamilton prima, Verstappen (che pure non fece parte di  un’academy ma arrivò alla F1 giovanissimo) e ora Antonelli hanno impresso nella mente del pubblico il concetto di “Racing Academy”, con una terminologia che può risultare  fuorviante. L’uso del termine Junior, anch’esso usato estesamente, può invece far  pensare a quelle attività che negli sport di squadra sono le ‘giovanili’: Minardi ci ha  spiegato meglio cosa sono oggi le Racing Academy e come funzionano in termini di  scouting e, ovviamente, sul piano economico.

Ce ne sono di diverse tipologie – spiega Giovanni Minardici sono quelle che ti  prendono perché secondo loro hai del potenziale, di conseguenza ti mettono a  disposizione tutto quello che serve per tentare la scalata alla Formula 1 e questa la si può considerare come una vera e propria borsa di studio. Troviamo anche Academy che ti  aiutano, ma solo in parte, quindi contribuendo al budget che serve per la stagione, sulla  restante parte ci si deve arrangiare. In ultimo ci sono quelle che non investono nulla, devi  avere tu tutto il budget che serve per la stagione, ma puoi spendere pubblicitariamente e  in comunicazione che fai parte di un’Academy di F1.

Rimanendo nell’immaginario collettivo, trattandosi dopotutto di sport e di  “sostenere un percorso di crescita” dell’atleta, si può pensare alle academy come a  delle “borse di studio” spendibili nella filiera del Motorsport: è proprio così o il più  delle volte si tratta semplicemente di un patrocinio di immagine?
Le attività che svolgi quando sei all’interno di un’Academy vanno dal semplice allenamento fisico e mentale, a prove al simulatore prima di ogni gara del calendario o a lezioni di  meccanica e di relazione con i media. Normalmente, nel momento in cui entri a far parte di un’Academy, le famiglie e gli sponsor non hanno più voce in capitolo proporzionalmente a  quanto devono continuare ad investire sulla carriera del proprio ragazzo. Quindi se  l’Academy investe il 100% del budget, né la famiglia nè lo sponsor avranno voce in  capitolo, se invece devono continuare ad investire, potranno interagire con l’Academy e  provare a portare ad una decisione diversa da quella che prenderebbe l’Academy, anche  se rimane sempre difficile riuscirci, perché la scelta finale, una volta che sei all’interno di  un’Academy, è sempre la loro.

E’ noto che gli alti costi del kart siano principalmente concentrati nelle categorie  Junior: dalla Mini alla OK, nella fascia di vita dei ragazzi che va dagli 8 anni circa ai  15. In pochi altri sport si arriva ad un livello così alto (e serio, per spiegamento di  mezzi e risorse) così presto, se pensiamo al Tennis, al Calcio o al basket, per citarne alcuni molto popolari in occidente, l’impegno c’è ma è sicuramente meno immersivo rispetto a quello del motorsport, che porta i ragazzi a vivere l’intera settimana, molto spesso, sulle piste – con le inevitabili ripercussioni. In questo scenario, la presenza  delle ACADEMY può migliorare le cose o, paradossalmente, peggiorarla?
Purtroppo il motorsport è lo sport più complesso che esista ed è quello che porta via la  maggior quantità di tempo alla vita normale di tutti i giorni. Basti pensare che qualsiasi  sport tu pratichi, al massimo fai 2/3 ore di allenamento al giorno, nel motorsport invece si  passano giornate intere, settimane o addirittura mesi lontano da casa. Ciò fa si che i  ragazzi che praticano questo sport non riescano a frequentare la scuola classica, perdono  completamente le amicizie al di fuori del mondo motorsport, stanno in molti casi lontano  dalla famiglia o parte della famiglia, quindi i sacrifici che deve fare un pilota e la famiglia  stessa, sono molti di più di quelli che deve fare un qualsiasi altro atleta. In quanto alle  Academy, dipende molto da quale Academy. Ci sono quelle che ti chiedono di andare a  vivere vicino alla sede centrale, ci sono quelle che ti fanno andare avanti indietro in base  agli impegni in programma e ci sono quelle che non ti aggiungono ulteriori impegni. La  cosa, purtroppo ben chiara, è che sei impegnato comunque 7 giorni su 7 e 365 su 365, non è una vita semplice.


Il momento chiave, per il pilota, è quello del lancio sui social della foto nella divisa  dei “grandi”. Si firma l’accordo, si scattano le foto con addosso il logo del team di  F1 e di fatto, c’è un’accelerazione forzata del processo di crescita: come ritieni che  un tale livello di pressione sia gestibile da un ragazzo che – aldilà di quello che fa in pista – si trova nel pieno dell’adolescenza?
In tutti gli sport c’è pressione, probabilmente nel motorsport con il fatto che girano tanti  soldi la pressione è più alta già in partenza. Ovviamente al momento che entri in  un’Academy la pressione arriva alle stelle, tenendo conto che generalmente questo  avviene quando l’età del pilota è sempre molto giovane. Come aiutarlo ad imparare a  gestirla, è parte integrante del nostro lavoro, stargli vicino, tenerlo il più possibile al riparo da situazione difficili, allenarlo a destreggiarsi con i media e suggerendogli cosa dire o  come comportarsi quando le situazioni si complicano. Il primo insegnamento che diamo ai  giovani piloti di 8/9 anni quando iniziano a lavorare con noi è quello di capire come ci si  deve comportare all’interno del paddock e di un Team. Gli spieghiamo il comportamento  da tenere in pista e il rispetto che devono avere per tutte le persone che lavorano con loro: i meccanici, i team manager, fino a commissari.

Andando ancora più a fondo: alcuni ragazzi potrebbero essere molto ‘maturi’ per la  loro età anche a 14 anni, anche in presenza di doti sportive normali o addirittura  “modeste” e quindi proseguire anche solo per inerzia verso le categorie più alte ma  privi di una reale motivazione. Altri, con un carattere ancora in fase di formazione e  quindi più complesso da decifrare e gestire, potrebbero ‘bruciarsi’ pur possedendo  delle doti naturali che, con più tempo a disposizione, ne farebbero dei campioni di  assoluto rilievo e fuori dalla norma. Un tale rimescolamento di carte e valori in una  fase così precoce, sebbene muova molti soldi, paradossalmente fa il male dello sport che si troverà nel tempo ad essere popolato di piloti forse bravi ma non  eccezionali, livellando verso il basso la media del talento anche dei vertici  dell’automobilismo e privando il racconto dello sport di quegli elementi che lo  avevano reso affascinante nel passato: la personalità dei piloti e la loro unicità. Non  ci sono campi della vita dove forzare i tempi porti dei buoni risultati, ma nel  motorsport funziona al contrario: com’è possibile?
Ovviamente, come nella vita normale e in tutti gli altri sport, la crescita del singolo non è  uguale per tutti: c’è chi matura prima e chi dopo, ed ognuno ha le proprie caratteristiche  che per fortuna sono tutte diverse. Non credo sia del tutto vero che il Motorsport oggi forzi  i tempi. Qualche anno fa, con l’arrivo in F1 di Verstappen aveva preso una brutta piega ma ora si è tornati ad attendere i giusti tempi. Voglio dire che il pilota arriva in F1 se è pronto e maturo per andarci infatti se analizziamo meglio il quadro attuale, una gran parte delle  Academy non ha fretta di far passare subito a 15 anni i piloti dal kart alle Formule, ma  attendono che siano pronti. A volte sono più le famiglie a voler anticipare i tempi, tante volte sbagliando, ma molto probabilmente anche per risparmiare soldi. Uno degli obiettivi  del nostro lavoro è proprio quello di consigliare le famiglie a fare il passo al momento  giusto, perché ci sono molte variabili da tenere in considerazione per esempio su quando  cambiare categoria e la maggior parte delle volte le famiglie, non avendo l’esperienza per  fare questo tipo di valutazioni rischiano di fare errori. Prendiamo Michael Schumacher, in  kart non aveva vinto quanto ha fatto in macchina, oggi molto probabilmente avrebbe fatto  più fatica a trovare spazio. Nel sistema motorsport di oggi, la prima problematica che mette a rischio l’arrivo di veri talenti è proprio lo stress psicologico che è arrivato alle stelle  e tante volte i giovani piloti non lo riescono a gestire e mollano, pur avendo un talento  eccezionale. Un altro punto dolente per la perdita di talenti al vertice è dovuta al grande cambiamento che ha subito il motorsport in questo ultimo decennio. E’ cambiato  tantissimo il modo di andare alla ricerca dei talenti, il lavoro dei talent-scout inviati dai team o direttamente dai manager non viene più svolto come una volta: se guardiamo a 15/20  anni fa, quando si sentiva parlare di un pilota interessante in kart o nelle formule minori, gli  stessi team Principal andavano a visionarli sulle piste, oggi invece mandano a visionarli  persone terze, che la maggior parte delle volte non ha l’esperienza per giudicare se  veramente un pilota vale oppure no.


Tornando alle Academy: quanto tempo ha mediamente un pilota per essere un ROI (return on investment) per cui valga la pena impegnare del denaro? Di recente  Williams ha messo in squadra bambini di 10 e 11 anni, che ne pensi?
Non credo esista un’età perfetta per entrare in un’Academy o per capire realmente se il  pilota potrà essere un vero ritorno sull’investimento, ma la cosa che sarebbe importante  fare da parte delle Academy sarebbe selezionare chi ha inequivocabilmente un vero e  proprio talento, senza pensare al marketing o ai portafogli delle famiglie. Dovrebbe  prendere piloti sui quali puntare al 100% sotto tutti i punti di vista, compresa la parte  economica: questo è scouting, diversamente siamo più nel campo del semplice business di immagine.

Per chiudere, si tratta realmente di “Academy” o si dovrebbe pensare ad un nome  diverso: come si potrebbe arrivare a ridefinire il concetto così che sia più semplice  capire cosa fanno realmente?
Ogni caso è a sé e io personalmente non mi sono ancora trovato a viverne uno in prima  persona, però c’è un caso a mio parere emblematico, perlomeno in base a ciò che è  emerso a fine 2024 sui media: mi riferisco a Zak O’Sullivan che nella stagione 2024  partecipava come pilota dell’Academy Williams al Campionato del mondo di F2 con il team Art Gran Prix. A poche gare dalla fine del Campionato, sembrerebbe che il Team lo abbia  appiedato perché aveva finito il budget personale per correre. O’Sullivan aveva vinto una  gara a Montecarlo e a Spa, aveva fatto anche vari buoni piazzamenti in altre gare,  insomma stava facendo una stagione ma questo non è bastato a far sì che Williams  finanziasse le ultime gare, terminando di fatto anzi tempo il suo Campionato e non è finita  qui in quanto a fine stagione è stato scaricato anche dall’Academy. A mio parere, se  realmente le cose fossero andate così, si tratta di una grossa delusione in primis per il  pilota, perché a questo punto a cosa serve essere all’interno di un’Academy, se non c’è  alcun reale aiuto nel momento del vero bisogno? Non dobbiamo dimenticare che dietro al  business delle corse ci sono delle persone, molto spesso ragazzi giovanissimi con dei sogni e delle speranze. Atleti che lottano con le unghie e con i denti per arrivare , con  grandi investimenti spesso da parte delle loro famiglie che si giocano tutto per aiutare il  proprio figlio ad arrivare a realizzare i propri obiettivi.