Intervista esclusiva su Vroom Karting Magazine pubblicata il 3 Ottobre 2024

Il management sportivo, specie nella scalata ai vertici del motorsport, è fondamentale: per capire come indirizzare le risorse, per dare continuità al progetto e conseguire degli obiettivi professionali che, diciamolo, non possono limitarsi alla F1. Abbiamo incontrato Giovanni Minardi, talent scout del Motorsport e titolare della omonima Agenzia, la Minardi Management (fm)

Partiamo dall’attualità: un Italiano torna in F1, peraltro dalla porta principale, con un Top Team. Da quanto conosci Kimi e cosa pensi ci sia di speciale in lui?
«Conosco Kimi, anzi per me Andy, da quando aveva 8 anni, quindi da dieci anni. L’ho visto crescere all’interno del mondo Motorsport. La prima volta che l’ho visto in pista era durante il Summer Camp a Sarno organizzato dalla Federazione Italiana nell’estate 2014. Dopo solo due giri di pista ho capito subito che mi trovavo davanti ad un vero talento. Non aveva mai visto la pista, non conosceva il kart con cui avrebbe girato ed in solo due giri fece il record della pista. Volava, ma la cosa più sorprendente che notai, era la facilità con cui gestiva il kart, le linee perfette che prendeva, i punti di frenata, insomma sembrava un pilota super navigato, invece aveva nemmeno 9 anni. Quello che trovo di speciale in Andy è la facilità che ha di guidare qualsiasi cosa gli diano da guidare e la cosa più impressionante che è così fin da quando era bambino. Tutto quello che fa lo fa senza pensare, gli viene naturale. A mio modesto parere è uno tra i pochi al mondo che sono nati veramente per primeggiare in questo sport.
Sono contento di essere stato presente quel giorno a Sarno a vederlo girare e di aver avuto la possibilità di lavorare con lui, portandolo in Mercedes, dando così il via alla sua carriera che lo porterà ad essere il prossimo pilota titolare Mercedes in Formula 1 nella stagione 2025.»

A proposito delle Academy, parlaci un po’ di quel mondo e aiutaci a sfatare qualche mito in merito.
«È un mondo molto complesso che non sempre premia il pilota più veloce o con le maggiori doti di guida, ma purtroppo conta molto anche la politica, il marketing e la Nazione da cui provieni. Oggi le Academy stanno prendendo piloti con troppa facilità, guardano i grandi numeri e sperano che tra tutti quelli che mettono sotto contratto almeno uno salti fuori e diventi un Campione del mondo. Ad oggi ci è riuscita solo McLaren/Mercedes con Hamilton e Mercedes con Rosberg, che li hanno supportati fin da bambini, dal kart alla Formula 1, tutti gli altri hanno portato piloti a presenziare, ma senza concludere nulla, creando sia qualche pilota che è rimasto per un paio di anni in Formula Uno, ma anche tanti infelici che si erano illusi di poter arrivare e poi sono stati scaricati in mezzo alla strada senza nessuna remora. Io nel mio piccolo cerco di lavorare per portare i piloti al livello più alto possibile, ma per il loro valore sportivo e non perché hanno la valigia piena di soldi.
Grazie alla serie di contatti che mi sono creato nei trent’anni della mia carriera, ho la fortuna, quando passo il nome di uno dei miei piloti, spesso e volentieri viene messo sotto osservazione dalle Academy.»

Raccontaci come lavora la tua agenzia: cosa significa oggi fare il manager di un pilota e perché si tratta di un ruolo così fondamentale?
«Fare il manager oggi significa, curare nei minimi dettagli la carriera di un pilota a 360°.
Lavoriamo per creare la strada migliore e più veloce per arrivare a portare un pilota a diventare un professionista. Valutiamo pilota per pilota qual è la categoria giusta anno per anno per lui, scegliere il migliore Team in base alle aspettative di risultato da parte del pilota ed al budget che ci viene messo a disposizione e magari colmare le eventuali differenze economiche grazie ai nostri contatti. Controlliamo durante l’anno che i team lavorino nel modo corretto ed interveniamo velocemente in caso di problemi e cerchiamo di aiutare il pilota a crescere sotto tutti i punti di vista, non solo di guida.
Durante la stagione lavoriamo per far crescere l’immagine dei nostri ragazzi, attraverso le nostre strategie marketing, creandogli un biglietto da visita, in modo che tutti nel mondo Motorsport sappiano chi sono e cosa fanno, così nel momento in cui il pilota raggiunge un livello di maturità e valore da essere presentato alle Academy F1 o alle case costruttrici, se si parla di ruote coperte, saremo pronti. Oggi è fondamentale avere un Manager nel Motorsport, perché se non hai la conoscenza a 360° di questo sport e delle persone che ci lavorano, diventa difficile per una famiglia capire cosa fare senza buttare al vento soldi e tempo.
La complessità di questo sport è come una partita a scacchi e come tale bisogna saper muovere le pedine giuste al momento giusto e questo lo puoi fare solo se hai l’esperienza come può avere un manager come me che si muove in questo ambiente da quasi trent’anni.»

Come si riconosce un talento? Sappiamo che il termine è spesso abusato, c’è qualche criterio che permette di vedere oltre e di capire quando magari c’è il potenziale, ma non ancora il contesto?
«A questa domanda non è semplice rispondere, perché non ci sono regole scritte. Sono sensazioni ed emozioni che si provano quando vedi girare un pilota ed è difficile spiegarle.
La cosa che mi colpisce maggiormente quando vedo per la prima volta un pilota, soprattutto se è piccolo, è quando vedi la semplicità con cui fa le cose, prende subito le linee giuste, i punti di frenata sono perfetti, vedere come interagisce con il proprio meccanico o ingegnere, ecc…
Ovviamente una cosa che mi aiuta è il poter paragonare il ragazzino in questione con piloti già affermati con cui ho lavorato in passato, questo ovviamente puoi farlo quando hai avuto la fortuna di lavorare con grandi Campioni, e vedere se hanno caratteristiche simili o uguali, sia di guida, che caratteriali, ecc… Sono certo di poter aiutare con il mio lavoro i piloti a crescere e diventare dei professionisti.»

In questa logica e senza fare nomi, ti è capitato di vedere piloti con un grande potenziale che si siano ‘persi’ a causa di scelte sbagliate troppo presto?
«Purtroppo ne ho visti tanti. Ho visto piloti che andavano fortissimo, ma che non avevano soldi per poter correre, ne ho visto altri che avevano potenziale e soldi, ma gli mancava la testa, insomma ne ho visto di tutti i colori.
Per far si che non capiti questo, serve una figura manageriale come la mia al fianco del pilota e della famiglia in modo che possa aiutare a non commettere errori ed aprire le giuste porte. Negli ultimi anni abbiamo visto più piloti con budget importanti che con talento, ma speriamo che questo trend cambi velocemente e si torni ad avere solo piloti con talento e basta. Tra i miei ragazzi sono convinto che ci siano ottimi talenti e che abbiano la possibilità di ben figurare come piloti professionisti e perché no, arrivare in F1.»

A differenza di altri sport, che offrono a molti atleti l’opportunità di arrivare ad altissimo livello (pensiamo al calcio, che è uno sport di squadra e offre circa 500 posti in Campionati di alto livello come Premier League o Serie A), la F1 – e lo ha ricordato Sainz qualche mese fa – ha solo 20 posti ed un ricambio non frequentissimo. Si può ancora parlare di sogno prevalente della F1 o è più giusto parlare di strada verso il professionismo nel Motorsport?
«Purtroppo le parole di Sainz sono vere, l’imbuto è sempre più stretto. Infatti quando parlo con i piloti non parlo mai di F1, ma parlo di diventare dei professionisti, cioè percepire denaro e non spenderlo per correre. Se poi abbiamo lavorato tutti bene, dal pilota, al team, al manager e alla famiglia e si arriva in F1, a quel punto abbiamo raggiunto il massimo obbiettivo. Spero di avere la possibilità di aiutare tanti talenti e portarli al mondo del professionismo.»

Come si persegue un percorso verso il professionismo e quali sono, ad oggi, le categorie che offrono maggiori opportunità a chi, realisticamente, non fosse unicamente concentrato sulla F1?
«Il percorso verso il professionismo ormai è abbastanza delineato. Chi ha le possibilità economiche o chi riesce ad entrare nelle Academy, passa dal mondo del kart alle formule per poi proseguire con la scalata alla F1, correndo prima in F4, poi in Formula Regional, in Formula 3, Formula 2 ed infine se tutto va bene in F1. Se non hai il potenziale economico si cerca di passare prima possibile nelle ruote coperte.
Ovviamente per arrivare all’obbiettivo finale non basta seguire la scala, si deve sapere quando è il momento giusto di passare di categoria, qual’é il team giusto, ecc…
Infine le categorie che ti possono permettere di diventare un pilota professionista oltre alla F1 sono: se parliamo di formula, c’è in America la Indy, in Giappone la Formula Nippon e da diversi anni anche la Formula E. Invece se parliamo di ruote coperte, il Campionato di livello più alto, è il WEC (World Endurance Championship), in Europa troviamo anche la European Le Mans Series, il GT World Challenge, il DTM e WTCR, in Giappone c’è il GT 200 e 400, in America invece c’è l’IMSA, senza dimenticare la Nascar che però è molto pro Americani, per i piloti che arrivano da altre Nazioni è veramente difficile entrare. Dimenticavo, c’è anche in Brasile la Stock Car, ma anche qui è per i Brasiliani in particolare e per qualche pilota Sud Americano (Argentini, Uruguagi, ecc…).
Per fortuna esistono Campionati oltre alla Formula 1 che danno la possibilità di diventare piloti professionisti e grazie a questo abbiamo portato diversi piloti di talento, che non avevano la possibilità di andare in Formula 1, a diventare piloti professionisti nelle ruote coperte, ottenendo anche ottimi risultati.»

Come vedi questo mondo di qui a dieci anni?
«Non benissimo. Purtroppo negli ultimi 20 anni questo bellissimo sport si è tramutato esclusivamente in puro business al 100% e come tale viene gestito.
I costi sono andati alle stelle e sta diventando uno sport per pochi. Infatti se prendiamo la Formula Uno, come esempio, che dovrebbe essere la massima espressione di questo sport e guardiamo la griglia di partenza, troviamo metà schieramento o quasi che per correre porta budget faraonici. Se guardiamo indietro negli ultimi tre anni, i piloti che avevano vinto la F2, non sono riusciti ad entrare in Formula Uno, ma per fortuna il prossimo anno un po’ di ricambio generazionale ci porterà diversi piloti che arrivano dalla categoria cadetta, anche se fanno parte tutti di Academy, nessuno che riesce ad arrivare con le proprie forze sportive.
Per permettere di avere maggiori possibilità d’ingresso di nuovi piloti in F1, La FIA e Liberty Media dovrebbero far entrare nuovi team, in modo che ci siano più sedili. Se guardiamo le altre categorie, i numeri delle vetture sullo schieramento sono altamente più alti e questo se avvenisse anche in F1 come era negli anni 80/90, quando c’erano le pre-qualifiche con 36 vetture, sarebbe un gran bel aiuto per i giovani piloti.
Ovviamente per quello che riguarda il mio lavoro e la mia posizione, spero di trovare tanti altri piloti di talento e poterli portare a raggiungere il loro principale sogno, che nello stesso tempo è anche il nostro.»