Intervista a cura di Francesco Svelto, regia a cura di Antonio Granato, testi a cura di Gabriele Bovio (@F1SPORT.IT)
Una lunga e piacevole chiacchierata con Giovanni Minardi, a capo della Minardi Management e scopritore di talenti del motorsport. Con lui abbiamo toccato diversi temi relativi ai giovani di questo sport e alla loro crescita fino ai massimi livelli.
Siamo arrivati alla pausa estiva di una F1, quest’anno, senza purtroppo italiani in griglia. Andando oltre lo spettacolo che abbiamo visto nella prima parte di stagione, volevo concentrarmi su quello che era lo stato di salute del parco piloti italiani nelle categorie minori. Per te che sei un manager, quanto è difficile oggi diventare un professionista ai massimi livelli del motorsport?
Partiamo dallo stato di salute dei piloti italiani. In questo momento purtroppo, come vediamo dalla Formula 1 in giù, non c’è tantissimo nelle categorie che contano, ovvero Formula 1, Formula 2 e Formula 3. Ci sono però delle giovani leve che vengono dal Kart e dalla Formula 4. Stanno venendo su prepotentemente e quindi fanno ben sperare, per il prossimo futuro, che tornino ad esserci ragazzi italiani sui palcoscenici più importanti dell’automobilismo.
Il discorso del professionismo, purtroppo, sta diventando oramai qualcosa di sempre più difficile. Soprattutto, diventa sempre più complicato in Italia. Questo perché vengono a mancare tante condizioni importanti per questo sport, come ad esempio i budget molto elevati che servono per correre e di conseguenza la mancanza di sponsor cioè le aziende che investono su questo tipo di sport. Tutto ciò rende la situazione sempre più difficile. L’unico modo oggi, per diventare professionista, è essere veramente valido, forte, aver quel qualcosa in più degli altri e riuscire ad entrare nelle varie Academy di F1. Questa oggi è l’unica chance che un pilota può avere. L’unico altro modo, come accade oggi in F1, riguardo diversi piloti che hanno la valigia dei genitori e riescono comunque ad arrivare nella massima serie.
Hai questo ruolo di manager da circa 20 anni, dal 2002, prima eri al muretto della Minardi. Ma chi è davvero Giovanni Minardi?
Giovanni Minardi è un ragazzo molto semplice, di ormai quasi 50 anni, che ha cominciato nel 1996 a lavorare in F1, nel team di famiglia e ha in precedenza ricoperto davvero tutti i ruoli. Tutto questo perché mi sono veramente formato dal basso. Ho cominciato facendo le pulizie in officina fino ad arrivare al muretto a gestire la squadra, da team Manager. Nel 2002 ho deciso di cambiare parzialmente vita. Sono rimasto sempre nel Motorsport ma ho deciso di mettermi in proprio e di fare il manager perché comunque, nei quasi dieci anni di F1, sono sempre stato a contatto con i piloti. Ho iniziato a capire quelle che sono le loro mentalità, quello che serve per andare forte, incominciare a capire chi va veramente forte. Di conseguenza ho deciso di fare questo passo. Tutt’oggi sono alla ricerca, nei vari circuiti di kart, di nuovi talenti. Ripeto, sono una persona umile, che cerca di sgomitare in questo mondo difficile e che spera, nel prossimo futuro, di avere qualche ragazzo interessante, magari italiano, per far si che arrivi nel mondo del professionismo e della F1.
Tu sei a capo della Minardi Management, cosa fanno i piloti che fanno parte di questa Academy e gli sbocchi che loro potrebbero avere nel prossimo futuro?
I piloti, in questo momento, sono circa una decina: Andrea Kimi Antonelli, Thomas Baldassarri, Karol Basz, Mattia Bucci, James Egozi, Valentino Mini, Giacomo Pedrini, Nicholas Pujatti, Manuel Quondamcarlo e Daniele Schillaci. Sono tutti ragazzi che partono dal mondo del kart fino ad arrivare alle formule, eccetto un ragazzo, Basz, ormai trentenne, che è consolidato nel mondo delle GT. Sicuramente, in questo momento, la strada che possono percorrere, chi parte dai kart – e quindi ragazzi di 10/11 anni – deve cercare di fare il meglio che si può e cercare di mettersi in mostra. Cercare di farsi vedere dalle case automobilistiche per provare ad avere aiuti (soprattutto economici), entrare nelle Academy e cercare di avere, non dico la strada spianata perché anche li devi sempre avere il coltello tra i denti in quanto li dentro non sei l’unico, un piccolo aiuto. Quindi l’imbuto per arrivare alla F1 è sempre più stretto. Invece gli altri devono comunque lavorare per cercare di diventare piloti professionisti, cioè pagati per correre e non pagare per correre come purtroppo inizialmente accade.
Ci sono diversi campionati che ti permettono di fare questo, sia dalle ruote coperte sia scoperte. Tra le ruote scoperte troviamo negli stati uniti la Indy, Giappone con Super Formula. Nelle ruote coperte abbiamo un mondiale Endurance (WEC), il GT World Challenge, il Super GT in Giappone, la IMSA negli Stati Uniti. Ci sono comunque tante categorie che ti permettono di guadagnare soldi correndo e facendo ciò che ti piace. Questa è un po’ la situazione di ciò che sto facendo con i miei ragazzi, cercando di indirizzarli nella strada giusta, scegliendo il percorso migliore per cercare di arrivare nel minor tempo possibile e con la minor spesa possibile a diventare pilota professionisti.
Grazie a Francesco Svelto, Antonio Granato e Gabriele Bovio